Quali devono essere le competenze dei dottori commercialisti?

Il mio intervento nasce dall’esigenza di provare a riportare l’attenzione della categoria e degli addetti ai lavori su di un tema importante, collegato, ancora una volta, alle nostre prospettive di sviluppo. Può essere utile provare a sintetizzare il punto in due interrogativi molto chiari: vi è un’esigenza di adeguamento del bagaglio di competenze del dottore commercialista? come cambia (o deve cambiare) il patrimonio di competenze che deve contraddistinguere il profilo del dottore commercialista?

Se al primo interrogativo segue una immediata riposta positiva, più arduo appare il ragionamento sul come perseguire tale obiettivo. Il secondo interrogativo è, quindi, molto importante perché, in primo luogo i servizi professionali che ci sono richiesti sono in una fase di profondissima evoluzione, al punto che le priorità di oggi sono diverse da quelle di ieri e di domani, e perché in secondo luogo è sempre alle nostre competenze che dobbiamo guardare come elemento utile per distinguerci dai nostri colleghi all’interno di un contesto competitivo che è sempre più difficile e aggressivo.

Il ragionamento sulle competenze è, quindi, sempre più urgente, per ragioni che sono al contempo socialmente etiche e coerenti con il perseguimento dell’utile individuale. Sono, infatti, convinto che la crescente competizione, dovuta a moltissimi fattori che ora non voglio richiamare, attribuisce una importanza sempre maggiore alle capacità, alle conoscenze e al sapere di ciascuno di noi come elemento di vantaggio competitivo. Al contempo, lo sviluppo delle competenze individuali rappresenta un obiettivo socialmente auspicabile e da perseguire a livello politico.

Per cercare di rispondere all’interrogativo precedente mi sembra necessario impostare un ragionamento sul tipo di competenze di cui oggi un dottore commercialista deve disporre. Il ragionamento che intendo sinteticamente sviluppare sottolinea la presenza di differenze competenze che hanno un grande rilievo sia nell’attività interna di funzionamento dello Studio sia nelle relazioni con i clienti e quindi con gli stakeholders esterni.

Articolando in maniera più chiara il mio discorso, a me sembra che oggi sempre di più il patrimonio di competenze richiesto al dottore commercialista sia riconducibile a tre grandi matrici:

  • di tipo specialistico;
  • di tipo gestionale e organizzativo;
  • di tipo comportamentale.

Le competenze di tipo specialistico

In primo luogo, ritengo che la massima enfasi debba essere attribuita all’esigenza di rafforzare e consolidare il sapere specialistico che contraddistingue la nostra professione. Come è evidente si tratta di un compito che è allo stesso tempo affascinante ed anche molto impegnativo, perché i servizi professionali che ci vengono richiesti dai nostri clienti coprono uno spettro molto ampio che comprende branche del sapere molto distanti e differenti tra loro. Dobbiamo, infatti,  (cito solo alcune aree cui sono più vicino) essere esperti di diritto societario, di diritto tributario, di gestione e di organizzazione aziendale, di contabilità, di Finanza. A queste aree aggiungo, oggi, la sempre maggiore rilevanza del diritto internazionale.

Lo sforzo di aggiornamento che ci è richiesto è quindi molto gravoso ma è, ovviamente, ineliminabile.

Ho preferito iniziare dalle competenze di tipo specialistico perché rappresentano a mio giudizio la base di ogni possibile successo professionale. Si tratta al contempo dell’elemento più tradizionale in grado di distinguere e caratterizzare il nostro lavoro, creando elementi di differenziazione rispetto ai colleghi e agli occhi dei clienti.

Tali competenze costituiscono, oggi, parametro fondamentale al quale si aggancia la valutazione che i nostri clienti fanno del nostro merito professionale. A questo riguardo, un ulteriore elemento che va considerato riguarda una tendenza alla specializzazione, che implica il ricorso all’interno dello Studio a forme molto spinte di divisione orizzontale delle attività, che sono coerenti (e allo stesso tempo necessaria premessa) allo sviluppo dimensionale delle strutture degli Studi professionali.

Le competenze di tipo gestionale e organizzativo

La seconda area di competenze che distingue la nostra attività è rappresentata dalle competenze di tipo gestionale ed organizzativo. In questo caso, faccio riferimento diretto alle competenze di general management, di sviluppo strategico ed organizzativo, e di gestione della tecnologia (Mangia, 2005). L’evoluzione del nostro lavoro e della organizzazione dei nostri uffici richiede sempre di più la padronanza di strumenti e di nozioni di scienza manageriale ed anche il pieno controllo di competenze manageriali. Assistiamo, quindi, ad una significativa svolta nel nostro ruolo.

Il fatto che il nostro ruolo all’interno degli studi sia anche di tipo manageriale è confermato dal fatto che siamo chiamati quotidianamente a partecipare ai processi decisionali, ai processi di sense making (Martinez, 2004), e di apprendimento organizzativo.

Il nostro lavoro presenta inoltre le caratteristiche tipiche del lavoro manageriale così come analizzato da uno dei suoi massimi studiosi, Henry Mintzberg già nel 1973. Può essere utile ora riassumerne alcune delle principali caratteristiche.

In primo luogo, ciascuno di noi nella propria attività di Studio deve gestire numerose attività diverse ad un ritmo sempre molto sostenuto e probabilmente crescente. Conseguentemente, il nostro lavoro ci porta nei fatti a dover partecipare a numerosissime riunioni su temi, argomenti e con obiettivi molto distanti e dissimili

In tal senso, anche il cambiamento organizzativo dovuto all’introduzione di nuove tecnologie ha rappresentato una significativa accelerazione nei ritmi di lavoro (Mangia, 2005). Altra area di responsabilità molto ampia e complessa fa riferimento alle responsabilità di coordinamento e di gestione che abbiamo nei confronti dei nostri collaboratori.

In secondo luogo, (e faccio riferimento alla mia esperienza professionale e a quella di numerosi colleghi) il nostro coinvolgimento viene soprattutto richiesto in fase di controllo e per la gestione di “emergenze” o di eccezioni, mentre diventa meno importante – in termini di tempo dedicato – lo svolgimento di attività di routine. Il nostro ruolo è, in questo, senso importante perché garantisce il coordinamento per via gerarchica (Hale, 1986, 1999), soprattutto quando la possibilità di risolvere tutto ex-ante con la standardizzazione viene meno.

In terzo luogo, il fatto che siamo coinvolti in molte attività tra loro diverse condiziona fortemente la dinamica dei processi decisionali. Maggiore è la varietà e la frammentazione delle attività sulle quali siamo coinvolti, maggiore è la necessità di assumere decisioni in tempi rapidi. È importante sottolineare che l’esigenza di essere tempestivi riguarda non solo il momento dell’assunzione della decisione ma anche quello della sua implementazione.

In quarto luogo, siamo coinvolti sempre di più in attività di collegamento e di gestione di relazioni con l’ambiente esterno. In un certo senso, siamo a metà tra i nostri Studi e l’ambiente esterno: spetta prevalentemente a chi riveste un ruolo manageriale il compito di interpretare il contesto esterno e di fornire ai collaboratori la base di conoscenze sulla quale prendere decisioni. Alcuni autori usano l’espressione di boundary spanning (Jemison, 1984; Scott, 1992) che a me appare appropriata.

Le competenze di tipo comportamentale

La terza categoria di competenze racchiude le abilities di tipo comportamentale. Le competenze di tipo comportamentale individuano in prima battuta le conoscenze e le competenze acquisite nel corso della carriera e della vita, ed in seconda istanza anche la generale idoneità a vivere e lavorare con altre persone, in contesti dinamici che richiedono una adeguata ed efficiente comunicazione.

Si tratta di competenze e di conoscenze che solo con grandissima difficoltà possono essere formalizzate, e riconosciute mediante formali attestazioni (ad esempio, il rilascio di certificati). Questa loro caratteristica rappresenta un grande problema per tutti coloro che si occupano di formazione manageriale.

L’insieme delle competenze di tipo comportamentale è sicuramente molto ampio e non sembra né corretto né fattibile tentare di stilare un elenco chiuso. È però utile individuarne alcune delle principali, al fine di renderne evidente sia l’importanza sia la eterogeneità.

La prima macro-competenza di tipo comportamentale può essere ricondotta al concetto di leadership. La leadership implica la capacità di influenzare il contesto sociale nel quale si opera. Peters e Austin, autori di un best-seller quale A Passion for Excellence, collegano l’idea di leadership alla capacità di “visione, entusiasmo, amore, fiducia, ….passione, coerenza……”. Si può quindi affermare che la capacità di ognuno di noi di essere leader va al di là dell’uso del potere e dell’esercizio di autorità che deriva esclusivamente dai rapporti formali e dalla struttura gerarchica. Se consideriamo il piano delle relazioni individuali che si instaurano all’interno di uno studio professionale, essere leader significa (credo che l’esperienza individuale di ognuno di noi lo confermi) la capacità di motivare chi lavora con noi e l’abilità di far sviluppare il nostro gruppo di lavoro gestendo con cura le dinamiche relazionali. Altro aspetto nel quale, a mio giudizio, si manifesta con chiarezza la capacità di leadership è la animazione, la creazione di gruppi di lavoro che ricavano i propri obiettivi dalle indicazioni del leader. Il tema dell’organizzazione della microstruttura del lavoro per gruppi è un tema molto interessante, che qui richiamo solamente ma che meriterebbe un giusto approfondimento.

La seconda macro-competenza di tipo comportamentale fa riferimento alla capacità di gestire le dinamiche relazionali all’interno dell’organizzazione. L’esperienza di ognuno conferma che ai fini del corretto sviluppo organizzativo è molto importante sapere gestire in maniera adeguata le dinamiche conflittuali. In parte, è necessario disporre di conoscenze di tipo manageriale, ma in parte è necessario essere in grado di “saper trattare” sul piano personale. In questo senso, può essere utile parlare di competenze di tipo politico. Maggiore è il controllo che abbiamo di tali competenze, maggiore è la possibilità che nelle relazioni che stabiliamo nel nostro contesto di lavoro riusciamo ad avere risposte amichevoli, ispirate ad un senso di fiducia, di confidenza, di sincerità (Perrewe et altri 2002).

L’aver messo in evidenza tre principali categorie di competenze, che oggi a mio giudizio definiscono il patrimonio di conoscenze, rende evidente un problema molto serio e riguarda il modo in cui ciascun dottore commercialista può puntare a consolidare il proprio bagaglio di competenze. Anche in questo caso può essere utile ragionare, cercando di individuare dei punti principali.

Il primo canale perseguibile è quello dell’istruzione universitaria e dell’alta formazione, alle quali si può legittimamente attribuire il compito e la responsabilità di fornire la base del sapere specialistico che è necessario per la nostra professione. È, infatti, necessario un costante approfondimento, ed aggiornamento che vanno ben al di là degli anni universitari e dell’eventuale corso di Master. Voglio sottolineare che lo studio universitario, che rappresenta una caratteristica da sempre distintiva della professione del dottore commercialista, ha un’importanza specifica che va al di là del conseguimento del titolo.

Il secondo canale è quello della pratica e dell’esercizio professionale che rappresenta un passaggio assolutamente necessario per poter esercitare la professione con perizia e risultati soddisfacenti. Il nostro continuo misurarci con i problemi concreti dei clienti che si aspettano soluzioni concrete impedisce, nei fatti, che la nostra sia una professione di “impostazione teorica” o di “disegno”. Vi è una componente pratica ed operativa fondamentale.

Il terzo canale è rappresentato dalla formazione organizzata dagli Ordini Professionali, che hanno oggi in questo senso una responsabilità sociale molto forte.

Il punto sul quale bisogna interrogarsi è se nell’organizzazione e nella progettazione dei corsi universitari, dei corsi di formazione avanzata, dei corsi organizzati dagli Ordini locali vi è la giusta ed equilibrata attenzione a tutte le diverse tipologie di competenze che devono rappresentare il bagaglio di un buon dottore commercialista.

A me sembra che vi sia un fortissima e giustissima attenzione a favore delle competenze di tipo specialistico. Meno rilevante è invece l’attenzione dedicata alla categoria delle competenze di tipo manageriale ed organizzativo, mentre assolutamente secondaria e marginale mi sembra il peso delle competenze comportamentali. Ovviamente sono perfettamente consapevole del fatto che la capacità di gestire, di essere leader o di mediare i conflitti sono anche dovute a caratteristiche innate che ciascuno di noi possiede in grado diverso oppure non possiede affatto. Ritengo però opportuno sottolineare che esiste, soprattutto, all’estero una consistente offerta formativa finalizzata allo sviluppo di tale categoria di competenze. È sufficiente rapidamente scorrere l’offerta di corsi e di master delle principali business school e università americane (Wharton, MIT, Harvard, Drexel…) per rendersene immediatamente conto.

La scelta di puntare ad un arricchimento del proprio  bagaglio di competenze ricade sicuramente nella sfera individuale: ciascuno di noi è libero di studiare di più o di meno, e di scegliere l’ambito nel quale effettuare un particolare approfondimento, sulla base delle proprie caratteristiche personali. Credo che però ci sia anche un problema di tipo sociale, se cioè a livello di categoria noi riteniamo che il tipo di formazione che noi organizziamo oppure che è per noi organizzata sia adeguata a garantire un adeguato sviluppo del nostro patrimonio di competenze. Se la risposta a questo ultimo interrogativo è negativa, come credo, diviene necessario cominciare a discutere su come cambiare.

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